Radix malorum est cupiditas (racconto dell’indulgenziere)

Da ‘Il racconto dell’indulgenziere’, uno dei Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer

– RADIX MALORUM EST CUPIDITAS – L’avidità è all’origine di ogni male –

C’era una volta nelle Fiandre una combriccola di giovinastri, i quali passavano la vita in una continua baldoria, dandosi al gioco e alla crapula, e frequentando il bordello e la taverna, dove stavano dalla mattina alla sera a ballare a suon di arpe, liuti e chitarre, o a giocare a dadi, o a gozzovigliare e a bere senza vedere mai il fondo. E così facendo si davano al diavolo con i loro abominevoli eccessi, e profferivano delle bestemmie così grosse ed infernali che facevano paura a sentirle. Straziavano, con le loro eresie, il corpo del nostro Signore benedetto, come se non lo avessero straziato abbastanza i Giudei; e reciprocamente ridevano dei loro peccati.
E subito dopo arrivavano le ballerine, ragazze ben fatte e dalla vita snella, e insieme con esse giovani fruttivendole, cantanti con le loro arpe, ruffiane e confettieri ambulanti. Tutta gente mandata dal diavolo ad accendere il fuoco della lussuria e a soffiarci dentro, giacché la lussuria è sempre compagna della crapula, e le Sacre Scritture mi confermano che dal vino e dall’ubriachezza deriva la lussuria.
[…]
Quei tre scapestrati, dei quali vi parlavo, un giorno, ben prima che le campane suonassero l’ora prima, se ne stavano a bere in una taverna: quando ad un tratto, mentre erano seduti a tavola, sentirono una campanella tintinnare nella strada, innanzi a un morto che veniva portato alla tomba. Uno di loro allora disse al suo garzone: «Presto, va’ a domandare chi è il morto che passa. Sappici dire, per bene, il suo nome».
«Signore, — rispose il ragazzo — non c’è affatto bisogno che io vada a domandarlo: me l’hanno detto due ore prima che voi veniste qua. Per Dio, era un vostro antico compagno. L’hanno ucciso improvvisamente stanotte, mentre se ne stava seduto, ubriaco sfatto, su di una panca; è stato un ladro, chiamato per soprannome ‘la Morte’, il quale uccide chiunque gli capita fra le mani; è arrivato e con la sua lancia gli ha rotto il cuore in due pezzi, e poi se n’è andato per la sua strada senza dire parola. Questa peste ha ucciso, qui in paese, un migliaio di persone: credete, pure, padrone, che bisogna guardarsi bene da un tal nemico. State all’erta, che non l’abbiate ad incontrare mai. Questo, almeno, è quanto ho saputo da mia madre. Non dico altro».
«Per Maria santissima, — soggiunse il padrone della taverna, — il ragazzo non dice bugie: quest’anno, in un grosso villaggio a più di un miglio di qui, costui ha ucciso moglie, marito, figlio, servitore e garzone. Credo che di casa stia laggiù. È meglio essere molto prudenti, anzi che rechi offesa a qualcuno».
«Per le braccia di Dio, — disse allora quello scapestrato, — ma è proprio un pericolo così grande incontrarsi con costui? Ebbene, lo andrò a cercare per la campagna, per la città. Lo giuro sulle sacre ossa di Dio. Sentite, compagni, noi tre siamo stati sempre d’accordo; ora stringiamoci la mano, facciamo un patto di fraterna alleanza, e andiamo ad uccidere noi questo falso traditore. Sull’onore di Dio, questo signor ‘la Morte’, che ha ammazzato tanta gente, prima di notte cadrà ammazzato».

Tra loro questi tre giurarono di vivere e di morire l’uno per l’altro come fossero fratelli carnali, e si alzarono per andarsene. E ubriachi e furibondi si avviarono verso il villaggio, del quale, poco prima, aveva parlato il padrone della bettola, e profferivano molte bestemmie, lacerando il corpo di Cristo. «Se possiamo acciuffarlo, sarà morto, ‘la Morte’».

Avevano fatto quasi mezzo miglio di strada, quando, mentre stavano per oltrepassare una palizzata, si imbatterono in un povero vecchio, il quale salutandoli umilmente disse: «Dio sia con voi, signori». Il più prepotente di quei tre manigoldi rispose: «Che? Straccione della malora, perché, a parte il viso, sei così tutto imbacuccato? Perché, vecchio come sei, continui a vivere tanto?»
«Perché, — rispose il vecchio guardandolo in faccia, —  per quanto abbia girato tutto il mondo, perfino in India, non riesco a trovare un uomo, in nessun villaggio o città, che acconsenta a cambiare la sua gioventù con la mia vecchiaia. E devo tenermela fin che piacerà a Dio, e finché la morte, ahimè, non voglia aver la mia vita! Cosi povero e disgraziato, me ne vado in giro per il mondo, e mattina e sera batto col mio bastone la terra, che è la porta che mi separa da mia madre, e dico: — Madre mia, aprimi. Non vedi che ogni giorno mi consumo sempre di più, e che la carne se ne va col sangue e con la pelle? Ahimè, quando avranno pace le mie ossa? Madre mia, quanto volentieri cambierei  con te il cassone, cosi a lungo custodito nella mia camera, per quel panno di crine che ti avvolge sottoterra! — Ma ancora non mi vuol far questa grazia, e così la mia faccia si fa sempre più pallida e smunta. Ma a voi, signori, non fa onore offendere in questo modo un povero vecchio, il quale non vi ha offeso né con parole né con atti, Ricordatevi di quello che dice la Bibbia: ‘Davanti a un vecchio col capo canuto alzatevi in piedi’. Perciò vi raccomando di non voler far del male ad un vecchio, come voi non vorreste fosse fatto male a voi nella vostra vecchiaia, se vi sarà dato di campare tanto, e Dio v’accompagni dove andiate o cavalchiate. Io devo andare là dove il destino mi chiama».
«No, vecchio straccione, — rispose tosto l’altro giocatore — ; non pensare di cavartela così, per san Giovanni. Prima hai nominato quel vile traditore ‘la Morte’, che sta uccidendo in paese tutti gli amici nostri: ci scommetto che tu sei una sua spia. Di’ dunque, dove si trova, o per Dio e nel santissimo sacramento tu ce la pagherai. Poiché certo tu sei d’accordo con lui, traditore ladro, per uccidere noi giovanotti».
«Se tanto vi preme, signori miei, di trovare ‘la Morte’ — rispose il vecchio —, voltate per questa strada tortuosa: l’uomo che voi cercate io l’ho lasciato, in fede mia, in quel bosco laggiù sotto un albero, e quivi rimarrà, e per i vostri vanti certo non si nasconderà. Vedete quella quercia? È proprio là. Andate, e Dio, il quale ci ha redenti dai nostri peccati, vi accompagni e vi faccia migliori».

Così disse il vecchio. E tutti e tre quei lestofanti si misero a correre finché non giunsero alla quercia, ai piedi della quale trovarono circa otto staia, come loro parve, di fiorini d’oro tondi e freschi di conio. Allora non si curarono più di andare in cerca di ‘Morte’: ma tanto fu la loro gioia a quella vista, perché quei fiorini erano belli e luccicanti, che si sedettero davanti al prezioso tesoro.

soldi, monete d'oro, ricchezza

Il primo a parlare fu il più malvagio. «Fratelli, disse, — sentite quel che vi dico. È vero che mi piace scherzare e fare baccano, ma in fondo un po’ di testa ce l’ho anch’io. La sorte ha voluto inviarci questo tesoro per farci stare felici e contenti per tutta la vita, e allora questo denaro lo spenderemo spensieratamente così come spensieratamente lo abbiamo ricevuto. Stamattina, per Iddio immortale, chi di noi avrebbe mai immaginato di ottenere tanta grazia? Se solo si potesse portar via di qua quest’oro, in casa mia o in casa vostra, giacché ben sapete che è tutto nostro e allora saremmo davvero sistemati! Ma come si fa a portarlo via di giorno? Se ci vedessero ci prenderebbero per dei gran ladri, e per il nostro tesoro ci manderebbero alla forca. Perciò bisognerà portarlo via di notte, e con la più grande cautela e astuzia. lo proporrei, quindi, che si tirasse alla paglia più corta, per vedere a chi tocchi; e chi tira la corta, a cuor leggero, vada in fretta in città a comprare (senza dar nell’occhio) del pane e del vino per tutti. Gli altri due intanto resteranno ad far di guardia al tesoro, e se colui che va in città si sbrigherà presto, giunta la sera porteremo via il tesoro, d’amore e d’accordo, dove crederemo meglio».

Così dicendo strinse egli stesso nel pugno tre fili di paglia, e fece tirare agli altri due per vedere su chi cadeva la sorte. Toccò al più giovane, il quale partì subito alla volta della città.

Appena se ne fu andato, uno degli altri due rimasti disse all’altro: «Senti: tu hai giurato di essermi fratello, perciò io ti voglio spiegare il tuo vantaggio. Sai bene che il nostro compagno se n’è andato, e ci ha lasciati qui con tutto quest’oro, che dovrebbe essere diviso in tre parti: ma se io avessi trovato il modo di dividerlo, invece, fra noi due soli, non ti pare che ti avrei reso un servizio proprio da amico?»
L’altro rispose: «Non vedo come si possa fare. Lui sa benissimo che noi due abbiamo l’oro. Come faremo? Che cosa gli diremo?».
«Sai mantenere il segreto?» gli fece il primo furfante. «Se mi prometti di si, te lo dicò in poche parole quel che dobbiamo fare, e vedrai che tutto andrà bene.»
«Senza dubbio, te lo giuro,» disse l’altro «parola mia, non ti tradirò.»
«Dunque,» fece il primo «sai bene che noi siamo in due, e che in due si è più forti di uno… Ecco, appena lui si siederà, tu all’improvviso ti alzerai come per voler scherzare con lui; e mentre tu con lui per scherzo farai la lotta, io lo colpirò ai fianchi, e anche tu col tuo pugnale farai lo stesso… Allora, mio caro amico, tutto quest’oro ce lo spartiremo fra te e me, e finalmente potremo toglierci ogni sfizio, e darci al gioco fin che vorremo!»
Cosi, come avete sentito, quei due delinquenti si misero d’accordo per ammazzare il terzo.

Costui (il più giovane, quello che s’era recato in città), nel frattempo non faceva che pensare e ripensare in cuor suo alla bellezza di tutti quei fiorini nuovi e luccicanti: «Oh, Signore!…» diceva «se potessi avere tutto quel tesoro per me solo, non ci sarebbe uomo sotto il trono di Dio più felice di me!…».
Alla fine il demonio, nostro nemico, gli mise in mente di comprare del veleno col quale eliminare i suoi due compagni; in verità, il demonio lo trovò in tale disposizione d’animo, che gli fu facile condurlo alla perdizione.
Quello infatti giurò fra sé che avrebbe ucciso gli altri due e che mai se ne sarebbe pentito. Cosi, senza indugiare oltre, trovandosi in città, andò da uno speziale e lo pregò di vendergli del veleno contro i topi; gli disse anche che dalla siepe veniva sempre una faina ad ammazzargli i capponi, e che insomma, se fosse stato possibile, avrebbe voluto proprio vendicarsi di tutte quelle bestiacce che di notte lo mandavano in rovina.
Gli rispose lo speziale: «Ti darò io una cosa che, Dio salvi l’anima mia, non c’è creatura al mondo che, avendone assaggiato o sorbito una dose non più grande d’un granello di frumento, non passi subito di colpo a miglior vita! Si tratta d’un veleno cosi forte e potente che uccide in minor tempo di quanto si impieghi a far di corsa appena un miglio!»
Quello sventurato prese dunque il veleno, chiuso dentro una scatola, e corse nella strada vicina da un tale a farsi imprestare tre grandi bottiglie: in due versò il veleno, mentre la terza la tenne pulita per metterci da bere per sé, pensando che poi nella notte avrebbe avuto un gran daffare a portar via da lì tutto quell’oro. E quand’ebbe riempito di vino tutte e tre quelle grandi bottiglie, quello scapestrato della malora ritornò dai suoi compagni.

C’è bisogno di farla ancora tanto lunga? Quei due lo uccisero proprio come prima s’erano riproposti, e fu in un attimo.
Dopo di che, uno di loro disse, «Mettiamoci a sedere, e beviamo e stiamo allegri; il cadavere poi lo seppelliremo!».
Cosi dicendo, prese a caso una delle bottiglie in cui c’era il veleno, e bevve, e ne offerse anche al suo compagno, e morirono di schianto tutt’e due. Anzi, credo che Avicenna non abbia mai descritto in nessun canone o trattato sintomi di avvelenamento più orrendi di quelli che ebbero quei due disgraziati prima di morire. E questa dunque fu la fine di quei due assassini, e dello sleale avvelenatore con loro.

radix malorum est cupiditas - l'ingordigia è origine di tutti i mali e ti porta alla morte

RADIX MALORUM EST CUPIDITAS

{Estratto da ‘Il racconto dell’indulgenziere’, che fa parte della raccolta I Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer}


Commento

Questo è un estratto tratto dal famoso “Racconto dell’indulgenziere” (o ‘venditore di indulgenze’) , uno dei Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer. Chaucer, che possiamo considerare il padre della letteratura inglese, scrisse questa raccolta di racconti nel 1387; strutturalmente somiglia molto al Decamerone di Boccaccio, perché anche qui abbiamo una “cornice” che fa da sfondo alle storie: dei pellegrini sono in viaggio verso la cattedrale di Canterbury, e durante il loro cammino si intrattengono raccontando dei racconti.
L’indulgenziere è un personaggio che potremmo definire ‘ambiguo’, sia nell’aspetto (Chaucer lo descrive come effeminato), sia nella condotta morale: lui vende indulgenze per fare in modo che i peccatori possano guadagnarsi il Paradiso; vende anche reliquie, che per sua stessa ammissione sono finte. Non esita a dire che il suo obiettivo è esclusivamente quello del guadagno facile, e che non gli importa nulla della salvezza delle anime dei fedeli.
Lui è un abilissimo oratore, e usa le parole per  imbrogliare e per spillare soldi. La sua storia è un capolavoro di ars retorica; è costruita assai abilmente con l’unico scopo di convincere le persone a dargli dei soldi per non passare per avidi. L’espediente retorico consiste nel fare in modo che nella mente dell’ascoltatore il denaro si colleghi all’idea di morte, addirittura di identifichi con essa… di conseguenza, egli proverà un forte desiderio di allontanarsene, di cederlo a chi lo possa salvare (l’indulgenziere!).
Molto ipocritamente, benché il racconto sia incentrato sulla lotta all’avidità, l’indulgenziere, bramoso di denaro, se ne serve proprio per arricchirsi. Lo fa anche in questa circostanza: al termine del suo racconto, chiede sfacciatamente ai pellegrini di dargli dei soldi.
Gli altri pellegrini ovviamente non vogliono dargli il denaro, e l’Oste gli risponde male; il Cavaliere ristabilisce la pace, evitando che la discussione degeneri.

Questo racconto, benché in sé buono, è nelle mani di una persona ‘ambigua‘… e ciò fa riflettere.
Si crea una specie di ‘corto circuito’: un racconto morale usato per fini immorali, può ancora dirsi ‘morale’?

Immagini: Piqsels, Michelangelo (particolare del Giudizio Universale)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *